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Siete qui: Home Festival Festival 2013 Il sorprendente mondo dell’arpa da concerto
Il sorprendente mondo dell’arpa da concerto PDF Stampa E-mail

Immaginate ciò che hanno fatto Zabaleta per l’arpa, Gazzelloni per il flauto e Segovia per la chitarra. Gettate uno sguardo sulla scarsità di repertorio che fino a pochi anni fa regnava sul mondo di questi strumenti e il gioco è fatto: avrete scoperto uno dei filoni che alimentano la strabiliante, turbolente e incantevole arte musicale del virtuoso francese Xavier de Maistre. Quella appunto di prendere la (relativa) decentralità della letteratura per arpa da concerto come una sfida, importando sullo strumento libere trascrizioni, compilate anche di suo pugno. Persino, detto per inciso, di brani per pianoforte e grande organico. Fedele dunque al suo motto di battaglia («L’arpa è per me come un’orchestra») de Maistre fa dunque lievitare il suo programma dal Concerto in si maggiore op. 4 n. 6 HWV 294 di Händel, composto in origine per organo e orchestra e pubblicato nel 1738: proprio in un’epoca in cui l’arpa iniziava a mostrare le sue infinite possibilità di sviluppo, trovando un’amabile, fragrante sintonia con lo stile galante. Merito della fitta rete di fabbriche costruttrici, rivolte non solo all’ampia schiera di professionisti, ma anche ai dilettanti. Lo si vedeva di certo tra Parigi e Londra, ma anche a Venezia dove operò Giovanni Battista Pescetti, a cui si deve questa Sonata in do minore (in origine per clavicembalo), già trascritta per arpa dal leggendario virtuoso del secolo scorso Carlos Salzedo. Dalle corde della chitarra (o dal mandolino) a quelle dell’arpa il passo è breve. Lo constatiamo con i popolarissimi Recuerdos de l’Alhambra (1896) di Francisco Tarrega, che rimandano ai profumi esotici dell’Andalusia da cartolina illustrata di fine ‘800 e con la Grande Fantaisie “La Mandoline” (composta dal britannico Elias Parish Alvars) in cui riecheggiano motivi popolari e operistici tipici del romanticismo. Ma la grazia salottiera delle sonorità cristalline si ritrova ancora nella trascrizione dal pianoforte di un Impromptus di Gabriel Fauré, come anche nei due Divertissementsà la Française e à l’Espagnole – di Caplet, amico intimo di Debussy: due brani scritti nel 1924 (l’anno prima della morte) di cui esiste anche una trascrizione per pianoforte dell’autore. Ma la sfida nella sfida per de Maistre è appunto quella chiudere il recital con una spericolata trascrizione della Moldava di Smetana. Celebre brano orchestrale composto tra il 1874 e il 1879, all’interno del ciclo La mia patria (Má Vlast), che si rivela una pittoresca sequela di poemi: sorta di inno musicale del fiume nazionale boemo che scorre dalla sorgente fino a Praga e – in una decina di minuti – ha consegnato l’autore alle cronache della grande musica.

Luigi Di Fronzo