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Passioni e... impressioni PDF Stampa E-mail

La prematura disapprovazione da parte del «professor» Nikolaj Rubinštejn non ha impedito al Concerto n. 1 in si bemolle minore, completato da Čajkovskij nel febbraio del 1875, di diventare uno dei lavori più amati dell’intero repertorio concertistico. L’incipit del movimento iniziale con la sua gestualità sfrontata, l’uso audacemente percussivo del pianoforte ed un memorabile tema ampio e viscerale che si impenna inarcandosi di continuo, immagine sonora dell’autore stesso (derivante a detta di alcuni commentatori dalla corrispondenza tra alcune lettere del nome del compositore con la denominazione delle note musicali nell’accezione tedesca) è di quelli che difficilmente si scordano. E la forma sonata sulla quale sono sagomati il primo e il terzo movimento resta più una traccia da disattendere che un modello da seguire: la passione deborda, i limiti (anche virtuosistici) si dissolvono, l’andamento si fa via via più rapsodico con l’impiego anche di qualche melodia popolare e il fatalismo čajkovskijano travolge e infiamma. Pure l’oasi serena dell’Andantino semplice, introdotta da una melodia elegante e suadente del flauto, viene inaspettatamente scalfita da un episodio rapidissimo in cui il cromatismo esasperato si fa straniamento. E nello scoppiettante Finale Čajkovskji riesce anche a denotare ciclicamente il Concerto rielaborando il materiale tematico dell’Introduzione che qui diviene secondo tema, per poi siglare il lavoro con una inconfondibile perorazione conclusiva.
Nuages e Fêtes (1899) hanno camminato a braccetto fin dalla loro première (il terzo NocturneSirènes – può essere eseguito solo se si dispone di un coro femminile). I due pannelli del trittico debussiano si ispirano a dipinti dell’artista americano James Whistler, ma più che semplice descrittivismo ci si trova di fronte a vere e proprie impressioni coloristiche che prendono forma dalla medesima sostanza musicale. È con opere come queste che si incomincia ad intravvedere quell’afflato materico che segnerà buona parte del Novecento musicale.
Feste Romane (1928), terzo ed ultimo tassello della nota trilogia respighiana, è un poema sinfonico altamente virtuosistico e dalla cangiante tavolozza timbrica nel quale l’ebbrezza ritmica e la sapienza della strumentazione (perfezionata dall’autore durante gli studi a S. Pietroburgo con Rimskij-Korsakov) sanno coagularsi in una narrazione vivida e sbalzata. Respighi fa ricorso anche a melodie popolari non sottraendosi alla lezione delle Scuole Nazionali.

Massimo Viazzo