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Strategie del racconto musicale PDF Stampa E-mail
Accantoniamo, per oggi, la visione aureo-ottocentesca che rischiamo sempre di dare alle pagine di Chopin e di Liszt, e richiamiamo alla memoria altri “romanticismi”, valgano pure i personali pensieri e ricordi che più ci “stanno a cuore”. All’ascolto, talvolta, fa bene immaginare a briglie sciolte, cercando indietro nel nostro tempo, fra ambienti e cose davvero nostre, evitando le patine della storiografia ufficiale. Alla musica non è di peso accompagnare quelle immagini e quelle sensazioni. E senza dimenticare quella libertà di associare ciò che ciascuno vuole, qui sulla carta si farà comunque un cenno alla storia intorno a quelle pagine, nate tra il 1837 e il 1853.
Chopin nel nostro immaginario ricopre il ruolo di “poeta del pianoforte”: ciò è in gran parte legato al genere del Notturno, che lo accompagnò per vent’anni della sua vita. Il Notturno si presenta come una narrazione semplice, codificata in una forma tripartita ABA: cioè ti espongo un fatto, accade qualcosa che un po’ lo smuove, ne riprendo le redini con qualche variante. Sono proprio i Notturni, tra tutte le opere, a testimoniare il fertile rapporto dell’autore con la forma, riuscendo a tradurre uno schema in un gioco di significati ricco e complesso. Lo sottolineano anche i cambi di tonalità, quando portano, ad esempio, entrambi i Notturni op. 32 da maggiore a minore, tracciando segni nella nostra memoria che ci rendono familiari i temi. Ai vertici della simbiosi fra semplicità dei mezzi e densità dei contenuti sta la bellezza dei due Notturni op. 48. Il secondo è considerato tra i più “sentimentali”, con la sua melodia sempre cangiante eppure sempre uguale, in un continuo emergere e assopirsi, al punto da ottenebrare la mente. Più complesso è il primo in do minore, dove compare un corale e terribili doppie ottave, davvero insolite.
Il compositore macedone Pande Shahov ha scritto Songs and Whispers nel 2010 per il bicentenario di Chopin. Alla musica, si diceva, non è di peso rivendicare qualsivoglia terreno emotivo, retroterra culturale o gesto evocativo, ed è così che nell’intento di omaggiare il “poeta del pianoforte” Shahov si rivolge al folk macedone quanto alle armonie del jazz, rivestendo alcune citazioni chopiniane, dando loro nuove direzioni. La suite è in quattro episodi: Oro è una danza popolare per feste e matrimoni, nel suo cerchio gaudente nasconde un’atavica malinconia, cui segue uno Scherzo che richiama l’incipit dello Scherzo in mi maggiore di Chopin; Elegia è nuovamente un canto tradizionale, un puro lamento d’amore e morte; Mazurka riprende la Mazurka op. 17 di Chopin, cercando di svilupparne affinità linguistiche con Ravel e Satie; Quasi Toccata, celando un canto folk al suo interno (Serbez Donka), si spinge verso Skrjabin, e dialoga con altre voci del Novecento.
Anche Liszt, dal canto suo, non si lascia sfuggire l’occasione di interloquire con il mondo che fu. Lo fa, tra l’altro, trascrivendo pagine di Bach come il Preludio e Fuga in la minore BWV 543 per organo, la cui natura rapsodica, la potenza e la ricchezza cromatica inondano la scrittura pianistica. Lo fa, poi, traducendo in musica tre sonetti di Petrarca, che insieme al V Canto dell’Inferno di Dante entrano nella seconda serie degli Années de pèlerinage: Italie. E lo fa ancora, nella terza serie, trasformando quel capolavoro del giardino italiano che prende forma a Tivoli in un’esaltazione sonora di fontane, grotte, giochi d’acqua e sonorità liquide: Les jeux d’eaux à la Villa d’Este. Mentre ai moti patriottici ungheresi del 1848 si ispirano le Rapsodie ungheresi: musica che rivendica il principio assoluto della forma libera, fra echi di danza popolare, spasmodici crescendo e una straordinaria turbolenza creativa. Racconti e strategie della musica.

Monica Luccisano