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Alle Settimane Musicali un finale davvero in bello stile PDF Stampa E-mail

La Prealpina
Martedì 6 settembre 2011

Sono stati Riccardo Chailly e Maria João Pires a mettere il suggello, un suggello d'ora, all'edizione del cinquantenario delle Settimane Musicali di Stresa, domenica sera in un Palazzo dei Congressi gremito in ogni ordine di posti. Il direttore milanese tornava al Festival dopo oltre vent'anni di assenza e lo ha fatto insieme al suo gioiello, la Gewandhausorchester di Lipsia; la sessantasettenne pianista portoghese, in una delle sue rare apparizioni in Italia, ha dato una lezione di eleganza nel "Concerto n. 3 in Do minore" di Ludwig van Beethoven.
Chailly di solito non chiede l'impossibile agli orchestrali, ma ottiene sempre quello che chiede: è un direttore essenziale ed efficace. A Stresa il suo Beethoven era un concentrato di lirismo, tutto nel segno di una cantabilità morbida e distesa, adagiata su tempi molto slargati... Un "Concerto n. 3" così poco drammatico si ascolta raramente ed in effetti è un paradosso, eppure l'interpretazione di Chailly non mancava di fascino.
A questa idea di fondo Maria João Pires si è adeguata e ne è sortita una lettura del "Terzo concerto" molto ariosa e serena, tra delicati attacchi degli archi e pianissimi morbidi come il velluto, anche da parte della solista, attenta ad evitare sia leziosità rococò sia accentuazioni in senso drammatico. Minuta di statura, dalle mani piccole e dai gesti molto composti, Maria João Pires è un'interprete di sostanza e non di apparenza, abituata a ripulire la musica dai luccichii del virtuosismo come dagli esasperati giochi timbrici. Il suo Beethoven era naturale ed elegante ... , delicato e colloquiale. E la qualità del suo tocco era ammirevole, perché nei pianissimi il suono perdeva volume ma non perdeva colore: un risultato simile, con l'acustica difficile del Palazzo dei Congressi, non si ottiene facilmente.
Anche se è la più antica formazione sinfonica del mondo la Gewandhausorchester non dimostra i suoi quasi tre secoli di vita.
Questo non solo perché l'età media dei componenti è piuttosto bassa, ma anche perché la compagine di Lipsia suona con serietà senza essere seriosa, con rigore senza annoiare, esibendo d'altro canto una straordinaria compattezza timbrica ed una grande reattività ai gesti del suo direttore: se non fosse per qualche piccola imprecisione negli archi saremmo davvero alla perfezione.
Suonava fresca e viva anche la "Sinfonia n. 5" di Mendelssohn, nella seconda parte del concerto, che qualche volta i direttori trasformano in una sorta di rito musicale di stampo wagneriano. È vero che la presenza del motivo dell'Amen di Dresda, lo stesso che Wagner avrebbe usato qualche decennio dopo nel "Parsifal" spinge  in questa direzione e che la sua dichiarata funzione celebrativa, in onore della Riforma luterana, sembrerebbe autorizzare questa monumentalizzazione, ma è anche vero che i temi possiedono una dolcezza ed un'eleganza tipicamente mendelssohniane (e non wagneriane). L'interpretazione di Chailly metteva in luce proprio questi aspetti, ancora una volta attraverso tempimolto comodi ed una cantabilità luminosa e distesa, soprattutto nel movimento conclusivo, la cui trama contrappuntistica aveva la lucentezza di un affresco appena restaurato.

Luca Segalla

 

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