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BIT20 Ensemble PDF Stampa E-mail

Testata: All about jazz.com

Del: 08/9/06

 

... Una serie di brani del novecento storico e altri più recenti ... impegna la compagine norvegese presso l'affascinante Rocca di Angera, che si affaccia sul lago dalla sponda lombarda.
Sin da subito si avverte come non vi siano concessioni all'ovvietà, ma si cerchi un coinvolgimento dell≠ascolto non solo nell'abituale dimensione temporale, ma anche in quella spaziale, intimamente connessa al luogo dell'esecuzione.
Francesconi, infatti, ha congegnato l'assemblaggio di alcune sezioni da In Freundschaft, concepito da Karlheinz Stockhausen nel 1977. Gli interpreti - il clarinettista Ivar Berix e la cornista Ragnhild Lothe - sono collocati rispettivamente nella corte antistante l'edificio principale della Rocca e su una balconata; il pubblico si trova piacevolmente sorpreso in un flusso ininterrotto di suoni, ricco di sfumature e di silenzi, evidenziati non soltanto dalle qualità strumentali degli esecutori, ma anche dalla loro gestualità, guidata dalle dettagliate indicazioni della partitura.
La melodia stockhauseniana - tenendo fede all'amicizia evocata nel titolo - avvolge gli spettatori in un gesto saluto, invitandoli (senza corrivi intenti new age) a sciogliere la tensione dei sensi e della mente nella sfera dell'ascolto.
L'accoglienza non termina qui: la delicatezza di In Freundshaft apre la via al violoncello di Sally Guenther, che diffonde tra le scale e il corridoio d'accesso alla sala i colori caldi e vibranti di Les mots sont allés di Luciano Berio, prima che il concerto assuma la sua forma tradizionale.
Tutt'altro che ortodosso (anzi decisamente variegato), viceversa, il contenuto, aperto da Dérive, brano congegnato da Pierre Boulez nei primi anni '80. Questa versione per sestetto condensa in pochi minuti un intrico di eventi sonori in continua permutazione: il gioco di risonanze e rifrazioni degli spettri, reso con grande chiarezza e precisione dal Bit20 Ensemble, conferisce all'opera un≠aura di levità e trasparenza, ponendo in giusta evidenza l'interesse del compositore francese per l'aspetto timbrico.
Lo stesso nitore - non disincarnato, anzi sempre aderente allo spirito della partitura - risalta nei due settetti successivi, accomunati da più di un elemento: il Settimino di Igor Stravinskij, la cui inesausta invenzione ritmica e coloristica infonde vitalità alle strutture seriali che informano soprattutto il terzo movimento, e Winternacht, scritto tra il 1976 e il 1978 da Hans Abrahamsen...
La seconda parte è tutta dedicata ad autori dell'Europa Orientale, che ha fornito, soprattutto nel '900, una formidabile spinta innovativa alla musica occidentale. Lo spirito (più che la lettera) della musica folklorica trascende l'apparente aridità dell'intento didascalico nella selezione dai 44 duetti per due violini di Bela Bartok, eseguiti magistralmente da Øyvind Plassen e Sveinung Lillebjerka, posti in una collocazione insolita: l'uno di fronte all'altro, ad altezze diverse, lungo i gradini della scala retrostante il palco.
Le melodie popolari innervano anche le sei bagatelle scritte dal connazionale Gyorgy Ligeti prima della fuga dall'Ungheria: intenso, nel quinto movimento, l'omaggio al maestro, incontrato all'Accademia di Budapest e mai dimenticato; già originale e ironica l'attitudine ai ritmi irregolari e agli impasti timbrici inusuali che sarebbero stati, in seguito, elaborati ulteriorimente attraverso le ricerche i cui esiti felicissimi tutti conosciamo.
L'esecuzione è, come di consueto, molto brillante, precisa nella scansione metrica, ma non eccessivamente meccanica: tutte qualità che si apprezzano anche nella conclusiva Revue de Cuisine, del ceco Bohuslav Martinu.
La vitalità ritmica di questa suite, concepita nella seconda metà degli anni '20 a partire da un balletto, è debitrice tanto agli stilemi del jazz orchestrale quanto al folklore slavo (senza dimenticare il motorismo stravinskijano).
Il suo sciolto dinamismo strappa applausi calorosi agli spettatori che riempiono la sala, felicemente disorientati da una proposta musicale dalle sfaccettature più diverse, proprie di tutta l'arte da cento anni a questa parte.

Ermes Rosina