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Comporre durante l’Apocalisse PDF Stampa E-mail

En hommage à l’ange de l’Apocalypse, qui lève la main vers le ciel en disant: «Il n’y aura plus de Temps»

Olivier Messiaen compose il Quatuor pour la fin du Temps nel campo di Görlitz, in Slesia, e l’opera ebbe la più assurda delle prime esecuzioni: il 15 gennaio 1941, all’interno del lager, suonata dall’autore insieme a tre musicisti deportati, Jean le Boulaire (violino), Henri Akoka (clarinetto) e Étienne Pasquier (violoncello), «davanti a cinquemila compagni di prigionia».
Mentre l’Europa viveva la propria Apocalisse, il compositore francese affidava alla musica il riscatto della volontà creativa, e dell’idea stessa di umanità. Musica come estrema, irriducibile tensione verso la verità e la giustizia, il Quatuor esprime la tenacia dell’arte, oltre l’abisso. Messiaen quella verità la cercava – come raccontò – anche attraverso frammenti dall’Apocalisse di Giovanni che inserirà poi nella prefazione alla partitura, dichiarandola ispirata al testo sacro:

Vidi poi un altro angelo, possente, discendere dal cielo, avvolto in una nube, la fronte cinta di arcobaleno; aveva la faccia come il sole e le gambe come colonne di fuoco. Nella mano teneva un piccolo libro aperto. Avendo posto il piede destro sul mare e il sinistro sulla terra, e, tenendosi dritto sul mare e sulla terra, alzò la destra verso il cielo e giurò per Colui che vive nei secoli dei secoli: “Non vi sarà più indugio” [Messiaen riporta “Non vi sarà più Tempo”]. Nel giorno in cui il settimo angelo farà udire la sua voce e suonerà la tromba, allora si compirà il mistero di Dio. (Apocalisse, X)

Forse non furono davvero cinquemila gli ascoltatori della tragica première, come dal racconto di Messiaen, e forse non così attenti com’egli riferisce («Jamais je n’ai été écouté avec autant d’attention et de compréhension»), ma resta integro il senso dell’opera che si affaccia sul baratro della disperazione per recuperare memoria e speranza. E ha ugualmente valore, pur rivelandosi in parte frutto dell’assemblaggio di pagine preesistenti. L’Intermède sgorga da un pregresso trio per violino, clarinetto e violoncello; le due Louange sono trascrizioni a memoria della Fête des belles eaux per onde Martenot (1937) e della seconda parte del Dyptique per organo (1930); e alcuni momenti della Danse de la fureur derivano da L’Ange aux parfums tratto da Les corps glorieux (1939). Ebbene, né questi dati, né le anomalie di forma e di sostanza dell’opera ci allontanano dalla convinzione che il Quatuor pour la fin du Temps sia sempre più emblema del rapporto tra la contingenza storica della sua drammatica genesi e l’eternità trascendente dei valori di cui si è via via caricato, tanto nelle intenzioni autoriali dell’epoca quanto nella distanza di una lettura critica.
Nel primo brano i quattro strumenti emergono, suonando simultaneamente, dal buco nero del non-senso con sparuti richiami ornitologici, tratti peculiari della scrittura di Messiaen. La compagine del quartetto si sfalda nel secondo brano, dove violino e violoncello vanno all’unisono su blocchi accordali del pianoforte, mentre il clarinetto appare solo in testa e in coda. Il terzo brano è un assolo di clarinetto che compie mutazioni timbriche ed estenuanti evoluzioni melodiche, dove le note lunghe ci ipnotizzano. Il quarto è un breve scherzo in trio, con nuovi passi all’unisono. La prima Louange riduce le voci in dialogo nell’incanto dolente del duetto violoncello e pianoforte. Il sesto brano è gravato da un gesto ritmico corrosivo e da unisoni violentemente esposti; il settimo brano, a episodi, porta in evidenza l’adunarsi caotico del materiale sonoro. Chiude la scena la seconda Louange, recando violino e pianoforte oltre i limiti dei loro registri verso l’acuto, come in estasi, testimoni della Parola.

Monica Luccisano