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Siete qui: Home Festival Festival 2011 Vette del romanticismo tedesco
Vette del romanticismo tedesco PDF Stampa E-mail
In Beethoven, l’ouverture da concerto conobbe un enorme fortuna durante il secolo scorso. Nel caso del Coriolano ci troviamo di fronte non ad un pezzo musicale scritto come corredo all’omonimo dramma di Shakespeare – cosa a cui penserà erroneamente Wagner – ma per le musiche di scena di una tragedia di Heinrich Joseph von Collin, liberamente attinta a sua volta (quasi contrabbandata) dalla Vita degli uomini illustri di Plutarco. E già il tema della pièce teatrale non poteva essere più invitante per un autore come Beethoven: la rivolta del guerriero contro la patria e le insistenti pressioni di chi vorrebbe indurlo a sentimenti più nobili; dunque, nell’insieme, l’ouverture sembra proiettare in orchestra la dialettica infinita fra i desideri individuali e la forza del destino, tra libertà dell’essere e dovere delle convenzioni. Il Coriolano fu presentato per la prima volta in casa Lobkowitz, a Vienna, nel mese di marzo del 1807 sotto la direzione dell’autore.
La posizione centrale del Terzo Concerto di Beethoven gli attribuisce un carattere di ambiguità stilistica e anche di innegabile complessità, non facile ad essere dissolta. Da un lato appare come l’epilogo dorato della tradizione classica: almeno nel senso portato alla perfezione da Mozart, con tutti i suoi tipici atteggiamenti (la conclusione del primo tempo affidata al pianoforte e all’orchestra, non solo a quest’ultima); dall’altro, l’apertura di inedite possibilità tastieristiche (le imponenti ottave doppie che contrassegnano l’ingresso del solista) e la dimensione più marcatamente virtuosistica di alcuni passaggi sembrano preludere a nuove esperienze beethoveniane.
Potrà sembrare un gioco di parole, ma la Quinta Sinfonia di Mendelssohn non è la numero 5. Fu scritta come seconda, fra il 1829 e il 1830, dopo il suo ritorno a Berlino dal viaggio in Inghilterra e Scozia. L’idea era quella di commemorare il tricentenario della “Confessione di Augusta”, uno dei momenti cruciali della riforma luterana. Il battesimo si tenne alla Berlin Singakademie sotto la direzione dell’autore, ma la Sinfonia non incontrò molto successo (cosa che Mendelssohn volle attribuire ad un lavoro di orchestrazione fatto battuta per battuta, senza abbozzare i temi principali e le voci di accompagnamento). L’omaggio alla fede di Lutero (che Mendelssohn aveva abbracciato nel 1825) trapela in due momenti specifici: nella citazione del cosiddetto Amen di Dresda, una formula familiare alla liturgia sassone, che più tardi Wagner utilizzerà come motivo del Graal nel Parsifal) e nell’impiego di un famoso corale, Ein’ feste Burg ist unser Gott (Nostro Signore è una solida fortezza). In verità la formula del Dresden Amen compare (mascherata e parafrasata) in ogni movimento, sorta di idée fixe: procedimento affine, per certi versi, ai procedimenti sinfonici che anche un compositore come Berlioz stava mettendo a punto in quegli anni nella Symphonie fantastique e nell’Harold en Italie. In apertura troviamo un Andante che è ritagliato su tre note ascendenti. Nasce così una melodia che, per l’abbondanza di ritardi dissonanti, sembra snodarsi su un percorso tensivo e tormentato. Ma ecco che lo squillo trionfale di trombe imprime all’Allegro con fuoco un carattere eroico, bilanciato dal cenno mistico del Dresden Amen. Fortemente impregnato di luteranesimo religioso è anche l’ultimo movimento; un Allegro maestoso nel quale pulsa un contrappunto “bachiano”, con un intento ideologico di incrollabile solidità che riscatta il cenno doloroso dell’introduzione.

Luigi Di Fronzo