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Bellezze Barocche PDF Stampa E-mail
La proverbiale vivacità intellettuale di Georg Philipp Telemann (Magdeburgo, 14 marzo 1681 - Amburgo, 25 giugno 1767) si sposava anche col gusto per la scoperta e ricerca; una testimonianza di questa vitalità viene dall’attenzione per stili non caratteristici della propria cultura. Quali erano? Non certo quello italiano, francese, spagnolo e inglese, che facevano parte dello standard europeo, accomunati dalla diffusione di danze divenute patrimonio comune (allemanda, corrente, sarabanda, giga…). Molto più volker, cioè stranieri, etnici, popolari erano altri stili. Come quello portoghese, russo (moscovita), turco e persino svizzero! Così Telemann, tra le sue numerosissime sinfonie (o suite, o ouverture, o partite – i termini al tempo erano spesso intercambiabili) scrive anche la vivace Völker Ouvertüre in si bemolle maggiore TWV 55, per archi e continuo (Klingende Geographie), dove la musica fiorisce in modo fluente creando melodie di puro, edonistico piacere. E curioso è vedere come il grande autore barocco interpreti le melodie e le danze tipiche di paesi così lontani giudicati musicalmente “esotici”!
Con Antonio Lucio Vivaldi (Venezia, 4 marzo 1678 - Vienna, 28 luglio 1741) si passa al Concerto in sol minore RV 156 per archi e basso continuo (Allegro, Adagio, Allegro). Qui i temi, distribuiti dentro un ricco tessuto connettivo, risaltano mirabilmente intrecciati, alternando gioiose figure che inanellano collane di note ad altre che restituiscono un quadro di colori più, intimo, tenue e delicato. Nel complesso si coglie il gusto barocco per la bellezza, qui però reso scultoreo, reale, polimaterico dalla magistrale capacità di orchestrazione del “prete rosso”.
Proprio accanto al genio italiano, ecco uno dei brani più celebri del suo illustre “ammiratore”, che ne studiò e amò allo spasimo proprio i concerti: Johann Sebastian Bach. Il Kantor di Lipsia fece paziente opera di trascrizione e rielaborazione dei capolavori vivaldiani apprendendo da essi i più reconditi segreti. Così quando si apprestò a scrivere i Concerti Brandeburghesi (1721 ca.) disponeva ormai di una tecnica di scrittura e soprattutto di una fantasia poetica straordinarie. Nel Concerto n. 5 in re maggiore BWV 1050 stupisce la parte del leone lasciata al cembalo, che ricopre un ruolo di solista nei confronti dell’orchestra e al quale è destinata una grandiosa cadenza di 65 battute in cui rimane solo sulla scena. Brillantezza ed effervescente leggerezza definiscono questo primo tempo così “cembalistico” (l’Allegro), mentre Bach segna come Affettuoso il secondo, lasciando alla voce del flauto e del violino il compito di rappresentare un tratto sentimentale di struggente delicatezza, appunto “affettuosa”. Infine l’Allegro finale è sviluppato secondo l’idea stilistica della fuga, con il soggetto rimbeccato in eco da una sezione all’altra e spesso cesellato dai brillantissimi passi del cembalo; dopo una sezione nel malinconico modo minore, torna il fugato a riportare l’ordine prestabilito.
Di Arcangelo Corelli (Fusignano, 17 febbraio 1653 - Roma, 8 gennaio 1713) segue la Sonata op. 5 n. 12, l’ultima delle 12 Sonate a violino e cembalo pubblicate nel 1700, meglio nota come La Follia. Ma cos’è veramente la “Follia”? Si trattava di un’antica danza, un tema tra i più antichi d’Europa, risalente al 1500. All’inizio era un ballo portoghese che prevedeva un rito coreografico per la fertilità durante il quale i danzatori portavano sulle spalle uomini vestiti da donna. Era chiamata così per il ritmo velocissimo e per la coreografia sui generis. Il tema è una progressione di accordi con una melodia ben caratterizzata sopra una frase scalare ordinata, che rivela la sua origine di danza. Su questa struttura definita si improvvisava liberamente. A partire da Jean-Baptiste Lully la Follia diventò il banco di prova per chiunque volesse dilettarsi nell’arte della variazione, cioè nel ripresentare un tema più volte permutato. Così si sono cimentati nella Follia anche Purcell, Vivaldi, Alessandro Scarlatti, Händel, C.P.E. Bach, Salieri e persino Rachmaninoff. Ma la Follia di Corelli, con la sua strabiliante serie di 23 variazioni, rimane un vero must musicale!
A chiosa del concerto la Suite in si minore BWV 1067 di J.S. Bach. È strutturata in più tempi che riprendono antiche danze e rappresenta l’aspetto creativo e mondano della musica bachiana. Protagonista è il flauto, la cui voce dialoga, battibecca, si contrappone agli archi, creando un tessuto coeso. Apre la melodicissima Ouverture, solennemente ritmata e ravvivata da un fugato, poi un raffinato Rondeau, mentre la Sarabande è estatica e malinconica. Dopo le veloci Bourrée I e II, nobile si staglia il tema della Polonaise e del Minuet, mentre il flauto nella celeberrima Badinerie trascina l’orchestra in una danza vorticosa che conclude la Suite con aerea brillantezza.

Marino Mora