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Il tenore degli archi PDF Stampa E-mail

Tra gli archi, il violoncello è il parente più prossimo, per il timbro, alla voce umana. Una voce tenorile, appassionata e umbratile. Al violino, indiscusso principe tra gli strumenti ad arco, spettavano le luci della ribalta. Il violoncello, soprattutto nell’800, doveva cantare.
Era così già per Beethoven, come rivelano le variazioni del 1801 sul tema del duetto tra Pamina e Papageno dal I atto de Il flauto magico mozartiano, “Bei Männern, welche Liebe fühlen”. Il flauto magico aveva suggerito a Beethoven un’altra serie di variazioni per violoncello e pianoforte, sulla celebre aria di Papageno del II atto. Pagine brillanti e virtuosistiche. Senza grandi pretese, illuminate di riflesso dalla bellezza dei temi mozartiani.
Melodia su tutto. Accade anche nella terza delle cinque sonate beethoveniane per violoncello e pianoforte, la Sonata op. 69, del 1808, il cui lirismo rimanda alla contemporanea Sinfonia pastorale. Lirismo nel primo movimento come nell’ultimo, luminoso e leggiadro, introdotto da un breve Adagio cantabile; in mezzo c’è uno Scherzo, energico e velato di mistero.
Alla stessa fonte di ispirazione attinge la Sonata op. 38 di Brahms, pagina dalla fascinosa invenzione melodica abbozzata nel 1862 e conclusa nell’estate del 1865 tra i campi ed i boschi di Lichtnenal, nei pressi di Baden-Baden. Ad aprirla è un tema al registro grave del violoncello, su un accompagnamento in accordi del pianoforte, che rivela come il giovane Brahms, all’epoca trentaduenne, già inclinasse alla malinconia. All’Allegro ma non troppo iniziale segue un Allegretto quasi Menuetto, che con il suo lirismo notturno alla Mendelssohn spiega la ragione per cui Brahms eliminò il progettato (e forse già composto) movimento lento: un’oasi lirica tra due movimenti lirici sarebbe stata superflua. Nel finale, invece, Brahms rivolge lo sguardo ai giganti del passato, Bach e Beethoven, soprattutto il Beethoveen dell’ultimo periodo, capace di fondere la forma-sonata classica e la fuga barocca: il complesso Allegro conclusivo della Sonata op. 38, infatti, innesta su una solida forma-sonata un severo fugato, basato su tre soggetti.
Sono ancora la melodia e ancora una volta, come nelle variazioni di Beethoven, il virtuosismo brillante, i tratti distintivi della Fantaisie sur deux airs russes op. 13 del compositore e virtuoso belga Adrien-François Servais. Fantasia da ascrivere alla schiera dei numerosi pezzi brillanti da concerto che affollano il repertorio ottocentesco.

Luca Segalla