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Siete qui: Home Festival Festival 2013 Il suono maraviglioso dei concerti barocchi
Il suono maraviglioso dei concerti barocchi PDF Stampa E-mail

«Fin del poeta è la maraviglia», così – citando Giovan Battista Marino – si potrebbe parafrasare l’estetica dei Concerti grossi di Corelli e delle Quattro stagioni di Vivaldi. L’ottica del meraviglioso e la sontuosità del suono erano propri dei luoghi dove nacquero queste composizioni: i palazzi romani e veneziani, nei quali questa musica veniva suonata, diventando modello sonoro per l’Europa intera. In pochi anni l’opera omnia di Corelli trovò i suoi divulgatori nel cuore del Regno Unito, così come i concerti di Vivaldi, oltre a circolare manoscritti, furono la punta di diamante dell’editoria olandese.
Sappiamo che i Concerti grossi op. VI di Corelli – pubblicati postumi nel 1714 ad Amsterdam – rimasero manoscritti per decine di anni a causa del desiderio del compositore di levigare la materia sonora. Ansia di perfezione, così come si professava nei cenacoli romani dell’Arcadia, dove questi capolavori venivano eseguiti durante le numerose feste all’aperto nei cortili e nei giardini delle case, o addirittura durante le cerimonie in Campidoglio. Musica che vive sulla dialettica del contrasto tra movimento lento e movimento veloce, sull’alternanza tra concertino (i tre solisti) e il ripieno (il resto dell’orchestra) e sulla sontuosa bellezza sonora, disegnata a modello della grande polifonia romana.
Le Quattro stagioni vennero pubblicate ad Amsterdam nel 1725, dopo una campagna pubblicitaria, ma erano già conosciute dai grandi appassionati stranieri del genere e ben presto entrarono nelle biblioteche dei cardinali romani. Concerti “figurati”, come li definiva lo stesso “Prete Rosso”, ovvero una sorta di teatrino musicale per l’intrattenimento delle corti nobiliari, dove la presenza di sonetti (forse dello stesso Vivaldi) e di didascalie, servono ad aiutare lo spettatore ad entrare – come guardasse le opere dei vedutisti veneziani – all’interno di una natura vivida e densa di suggestioni sonore. E il violino solista – che svetta con i suoi virtuosismi come nel famoso Concerto RV 212 con la celebre cadenza – ci accompagna in questo percorso immaginativo, trasportandoci tra stagioni maligne ed estreme come l’Estate (languidezza per il caldo, la prima didascalia) e l’Inverno (agghiacciato tremar tra nevi algenti, la prima suggestione) e benigne (Primavera e Autunno), dove prevalgono – al contrario – immagini più serene, ma nelle quali ricorre sempre la Tempesta, vero trait d’union di tutte le Stagioni.

Carlo Bellora