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Siete qui: Home Festival Festival 2013 Gli ultimi quartetti di Beethoven, o della capacità del genio di dare senso al caos (III)
Gli ultimi quartetti di Beethoven, o della capacità del genio di dare senso al caos (III) PDF Stampa E-mail

Quando si parla del presunto “espressionismo” degli ultimi quartetti beethoveniani – inteso come prevaricazione dei valori espressivi su quelli formali – si allude alla costituzione di una più evoluta concezione musicale per la quale il bitematismo sonatistico perderà progressivamente ogni funzionalità dialettica. Fin dall’op. 127 (il primo quartetto a essere terminato e inviato al committente principe Golitsyn all’inizio del 1825) la dissoluzione del lessico avviene secondo una spirale dall’interno, che tende a sublimare in strutture proprie e confutare così quei rapporti dinamici e di lotta che Beethoven stesso aveva magistralmente consolidato nelle sue precedenti fasi creative. La suddivisione in quattro movimenti è ancora squisitamente classica, ma i motivi sono ormai configurati in senso più ampio e originale, con tale profusione da non delineare più un semplice primo o secondo tema, bensì veri e propri “gruppi tematici” animati da audaci logiche le quali, se ai contemporanei apparivano folli e oscure, schiudevano già le porte a quel sinfonismo mahleriano per cui quasi un secolo più tardi i temi si moltiplicheranno. Allo stesso tempo aleggia in questo quartetto, straordinariamente tenero e introverso, il sentimento di una serena accettazione che solo la tranquillità della forza interiore può sostenere: la toccante calma e umanità dell’Adagio si dipana da uno dei massimi esempi di tema con variazioni della storia della musica, contendendo il primato all’altro sublime modello di variazione beethoveniana degli ultimi anni, quello dell’op. 131. Completato nell’estate 1826, esso è uno dei quartetti più lunghi mai scritti; le estreme tracce della forma-sonata sono qui decisamente abbandonate e i sette movimenti si susseguono senza interruzione. Il genio di Beethoven si spinge, come nessuno avrebbe osato, là dove ogni riferimento a sistemi precostituiti e tracciati riconoscibili è radicalmente bandito in vista d’un nuovo ordine formale. Gli eventi trovano giustificazione razionale solo in se stessi, gli strumenti si rendono sempre più autonomi, il tessuto si fa più elaborato e complesso, le sfumature dinamiche si arricchiscono, mentre le trasfigurazioni dei temi si caricano di addensamenti e rarefazioni dando vita a una pluralità di immagini drammatiche totalizzante. Una sorta di “assurdo” musicale, capolavoro impossibile che sconcertò il pubblico del tempo e soltanto molti decenni più tardi riuscì a imporsi sulla storia con la forza incontenibile della sua grandiosa portata espressiva.

Federico Scoponi