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Siete qui: Home Festival Festival 2013 Gli ultimi quartetti di Beethoven, o della capacità del genio di dare senso al caos (II)
Gli ultimi quartetti di Beethoven, o della capacità del genio di dare senso al caos (II) PDF Stampa E-mail

Per molti aspetti al vertice dell’intera parabola creativa beethoveniana, quasi tutti gli ultimi quartetti furono composti su committenza del principe russo N. B. Golitsyn, il quale nel 1824 dedicò queste profetiche parole di ammirazione all’autore: «Il vostro genio ha superato i secoli, e non vi sono forse uditori abbastanza illuminati per gustare tutta la bellezza di questa musica; ma saranno i posteri che renderanno omaggio e benediranno la vostra memoria, assai più di quanto possano farlo i contemporanei.» Sarebbe andata così, laddove ad esempio l’op. 130, nella sua forma originale con la poderosa Grande fuga come ultimo movimento, fu dal primo momento ritenuta incomprensibile, quasi “insuonabile”, tanto che Beethoven si persuase a sostituire la fuga con un finale più corto e leggero, un Allegro che nell’autunno 1826 fu l’ultima pagina musicale da lui vergata. Nella continua lotta tra linguaggio e significato, spingendo al limite le possibilità espressive, le certezze formali si dissolvono rapidamente con frequenti, bruschi mutamenti di tempo e di passioni; così il Quartetto n. 13 realizza forse più di tutti l’ideale del Sublime schilleriano inteso come aspirazione alla libertà dello spirito attraverso un’assoluta grazia melodica e una luminosa totalità espressiva. Sebbene la sua “leggerezza” gli conferisca carattere di “divertimento” (insieme al classico equilibrio strutturale in 6 movimenti) nell’accezione più alta che il termine aveva assunto con i capolavori cameristici mozartiani, esso resta una delle pagine più enigmatiche, sottilmente inquietanti e moderne che Beethoven abbia composto, presagendo l’edificazione di un nuovo ordine che si ribella alla forma e arriverà, nella postuma op. 135, a configurare i quattro moduli “seriali” di un inciso capovolgendolo, retrogradandolo e capovolgendone infine la retrogradazione. Sull’ultimo movimento di questo quartetto che non ascolterà mai, egli scrive «Der Schwer gefasste Entschluss» (La difficile decisione), mentre sotto le note commenta «Muss es Sein? Es muss Sein! Es muss Sein!» (Dev’essere così? Così dev’essere!), una sorta di messaggio filosofico che rimane irrisolto, ma in cui invenzione e razionalità dialogano secondo una logica senza tempo. Probabilmente la fiera asserzione d’un esprit de géometrie per il quale ogni elemento soggettivo è inevitabilmente trasceso nell’ambito di un’assolutezza dei valori che sfiora l’astrazione, frutto di una saggezza superiore nella quale appaiono superati tutti i conflitti, passati e futuri.

Federico Scoponi