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Siete qui: Home Festival Festival 2013 Due gemme beethoveniane e le sinestesie del mago Debussy
Due gemme beethoveniane e le sinestesie del mago Debussy PDF Stampa E-mail

Terreno di sperimentalismi, il catalogo sonatistico di Beethoven è una sintesi della sua evoluzione. L’op. 28 (1801) è pagina serena, nell’idillica tonalità di re maggiore, da cui il titolo (apocrifo): epiteto insito peraltro nella gioviale intimità che la pervade, rimandando a spunti popolari destinati a sublimarsi nell’altra ben più celebre “Pastorale, la Sesta Sinfonia. Diversamente dalla burrascosa Patetica, niente contrasti nell’Allegro iniziale, tutto un fluire di idee e una quiete che ricorda Watteau; poi un severo Andante già presago di Schubert, le saporose boutades di un breve energico Scherzo e infine un rustico Rondò: quasi remake di una settecentesca musette, con qualche inatteso colpo d’ala e un vorticoso epilogo.
Agli anni dell’Eroica e del Fidelio (1803-04) risale l’op. 53, brillante e ottimista, dedicata al mecenate conte Waldstein. Colpisce fin dall’energetico Allegro memore di Clementi, inaugurato da un “gesto” percussivo e una inusitata spaziatura di registri. Alla gragnola accordale s’oppone un cantabile di celestiale purezza. Poi uno sviluppo di rara pregnanza, con zone d’ombra e sfolgorii, cambi di rotta, immane tensione. Ma all’autore urge puntare dritto al finale, sicché – espunto un anacronistico Andante – in sua vece intervengono sole 28 battute di metafisico Adagio, lirico e smozzicato, come l’emergere di una luce aurorale, immettendo nel luminescente Rondò dalle pre-impressionistiche radure. All’apice di un fiammeggiante fortissimo un ruvido “stacco”, come scalando marcia, e via con l’esaltante Prestissimo dai rischiosi glissandi.
Col primo libro dei Préludes (1909-10) Debussy realizza il più emblematico “manifesto” della propria arte coagulando, con raffinatezza e un gusto speciale per le sinestesie, una moltitudine di fantasmagorie, ora intorno ad allusive immagini, ora in ben più vaste strutture. Ecco allora l’arcaismo estetizzante di Danseuses de Delphes, evocante un’arpa eolia, e la medievaleggiante tenerezza della Fille aux cheveux de lin; l’indeterminatezza charmante di Voiles; l’algida desolazione di Pas sur la neige e lo smagliante éclat delle Collines d’Anacapri, spettrali stilizzazioni di un vento furioso e le suggestioni dell’acqua (Cathédrale); la croccante evocazione di un lembo di Spagna; l’incorporeità simbolista di un verso di Baudelaire («Les sons et les parfums»), i guizzi mercuriali del folletto shakespeariano e la chiassosa comicità di grotteschi Minstrels, a chiudere in un clima di scanzonata allegria.

Attilio Piovano