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Siete qui: Home Festival Festival 2012 Il violoncello secundum Mischa Maisky, all’insegna di una metamorfica versatilità
Il violoncello secundum Mischa Maisky, all’insegna di una metamorfica versatilità PDF Stampa E-mail

La Sonata D 821 è detta “arpeggione” dal nome del bizzarro strumento cui venne destinata. Unico autore di spicco a essersi arrischiato a comporre per tale ibrido aggeggio altrimenti destinato all’oblio, Schubert compose l’amabile Sonata nel 1824. Scritta nella mesta tonalità di la minore, ebbe circolazione in svariate trascrizioni. Si apre con un ampio Allegro moderato striato di spleen; interviene poi un Adagio di singolare spontaneità, già presago di Brahms, quasi un Liedstrumentale dal soave lirismo, quindi un Rondò dai popolareschi accenti, pervaso di affabile serenità.
Già minato dal cancro, Debussy non fece in tempo a completare le progettate Sei Sonate destinate a dissimili strumenti, riuscendo a portarne a termine solo tre. Quella per violoncello inaugurò la silloge nel 1915. Vero e proprio testamento spirituale, si caratterizza per un conciso Prologo di ieratica bellezza, dal colore brunito, cui seguono uno scarno tempo lento di assorta pensosità, malgrado il titolo e un Finale dai fascinosi timbri in cui prevale un clima cupo, come di oscuro presagio, nonostante il cantabile e la verve ritmica.
Anche col catalano Granados il destino fu baro: gli si parò dinanzi mentre con la consorte Amparo rientrava in piroscafo dagli States dove la sua opera lirica Goyescas, tratta dall’omonima raccolta pianistica ispirata a Goya, aveva riscosso notevole successo. Un sommergibile tedesco centrò il traghetto nel canale della Manica e nel tentativo di salvare la consorte, Granados scomparve tra le acque. Ed è con una trascrizione di lusso di un brano tratto da tale capolavoro che Maisky ha scelto di aprire la seconda parte della serata, poi seguita da una manciata di pagine dalla fragrante immediatezza. Trascrizione dovuta al barcellonese Cassadò, eccellente violoncellista e compositore sensibile alle seduzioni del folklore, laddove Pablo de Sarasate fu violinista dalle straordinarie doti. Quanto ad Albéniz, forma col coetaneo Granados la diade dei massimi autori spagnoli vissuti tra ‘800 e ‘900, sicché appare logico che Maisky abbia deciso di accostarli, rielaborandone gli originali.
Per propiziare la notte nulla di meglio della seduttiva Dança ritual del fuego da El Amor Brujo di De Falla: pagina irresistibile, evocatrice delle spire rossastre, ma anche del mistero notturno, col suo ritmo ipnotico, una più cantabile sezione e le fosforescenti accensioni. E la superba trascrizione di Piatigorsky non fa certo rimpiangere i sortilegi timbrici del balletto gitano.

Attilio Piovano