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Siete qui: Home Festival Festival 2011 Tesori del primo Settecento italiano
Tesori del primo Settecento italiano PDF Stampa E-mail

Cantante, valente strumentista e dotatissimo compositore italiano, Giovanni Benedetto Platti nacque a Padova (o nei suoi dintorni) nel 1697 e morì a Würzburg nel 1763. Probabile figlio d’arte (il padre fu violista alla cappella ducale di San Marco), poi allievo di Gasparini sempre a Venezia, emigrò in Germania nel 1722, entrando al servizio del principe vescovo di Würzburg insieme ad altri colleghi italiani, fra cui i cantanti Bassani e la Bellotti. E fu proprio laggiù, in Germania, dove Platti passò tutta la sua vita, sposando la cantante Therese Maria Langsprücker nel 1723 (da cui avrà 8 figli, molti dei quali musicisti) e segnalandosi per l’abilità di strumentista (violino, oboe, clavicembalo), oltre che di tenorista da camera. La sua produzione che qui viene condensata in due esempi di sonate a tre e di Sonata per violoncello ha il sapore nitido della scrittura preclassica, con un’abile distribuzione strumentale, un intreccio sonoro che ingloba la reciprocità simmetrica del gioco strumentale di Emanuel Bach e, talora, un’unità tematica che anticipa la più matura scrittura di Haydn.
Un prete che non diceva messa. Sembra già questa una “stravaganza”, tipica categoria sintonizzata al gusto del barocco veneziano, che torna in auge quando si parla di Vivaldi. Stravaganza, bizzarrìa, capriccio – più prosaicamente estro fantastico, libertà d’espressione, eccentrica e paradossale arte della sorpresa – che ben si conciliavano con la propensione alla piacevolezza, alla sensorialità, all’edonismo. Stravaganza come arte della dissimulazione, come inquietante tendenza alla deformazione che costituiva il perno su cui ruotava l’immaginario di tanta pittura illusionistica, spesso onirica: coeva o antecedente di anni. Si pensi agli strumenti musicali di Baschenis, alle nature morte di Poussin, alle fantasie fiamminghe di Bosch, persino a certe invenzioni del Tiepolo o del Guardi. Per Vivaldi la stravaganza non è una follìa spettacolare, che magari risponde ad un’esigenza di puro divertissement, ma un mezzo d’espressione studiato a tavolino. E poi puntualmente applicato con opportune tecniche di colore: ad esempio la “scordatura” sulle corde del violino, l’imitazione di «canti di animali, tanto volatili quanto terrestri» fra le corde del violino. Oppure nella scelta strumentale degli impasti timbrici (più che armonici) particolarissimi; con frequenti cambi di dosaggio fonico, mediante l’uso di “sordina” negli archi, e la profusione di strumenti incredibili con effetti stravaganti: non tanto la violetta, la tiorba, il liuto, ma il trombon da caccia e la tromba marina. Qui Vivaldi è alle prese con il genere della Sonata per violino, con basso continuo, e della Sonata a tre di corelliana memoria. Michael Talbot, storico biografo e studioso del compositore scrive che «Vivaldi, avrebbe coltivato la sonata soltanto come un complemento della sua produzione di concerti» e che «con ogni probabilità la maggior parte delle Sonate furono scritte non singolarmente, come i concerti per la Pietà, ma a gruppi e destinate non ad istituzioni, ma a mecenati privati». Ciò non toglie che molte di queste pagine contengano passaggi ricchi di originalità , con una vistosa – a tratti mirabolante – compenetrazione dei generi da chiesa e da camera. D’altra parte la stilizzazione delle danze serve da volano ai fini del virtuosismo, ma permette anche una grande varietà di ritmo e di tempo, con una pregevolezza della costruzione e uno scorrimento davvero fluido della scrittura.

 

Luigi Di Fronzo