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Il filo rosso della danza PDF Stampa E-mail
«La chitarra è una piccola orchestra, uno strumento adatto tanto ad accompagnare la voce e a figurare in molti brani strumentali, quanto ad eseguire pezzi solistici di maggiore o minore complessità e a più parti (…) Possiede un indubbio fascino se suonata da veri virtuosi (…) Tuttavia il suo carattere malinconico e sognante dovrebbe più spesso potersi dispiegare».
Così scriveva Hector Berlioz nel Grand Traité d’instrumentation et d’orchestration modernes del 1843. È curiosa quell’osservazione sul carattere «malinconico e sognante» della chitarra che penso sia da mettere forse in relazione con la pittoresca tavolozza sonora dell’autore della Sinfonia Fantastica. Non c’è soltanto malinconia e sogno nel programma di oggi. C’è invece un «vero virtuoso» della chitarra barocca.
Uno strumento, la chitarra, che ha una lunga storia. Nasce probabilmente, come il liuto, nelle regioni medio-orientali. Nelle lingue antiche, nel sanscrito ad esempio, Tar significa corda (da qui il Se-Tar, o Sitar, tipico dell’India orientale, generalmente a tre corde). L’iconografia più arcaica ci mostra un bassorilievo in pietra risalente al XIII secolo a. C., denominato “La chitarra ittita”, in cui l’esecutore è raffigurato con uno strumento a forma di otto, pizzicato sulle corde, abbastanza simile alla chitarra moderna, anche se molto piccolo.
Risalendo velocemente i secoli verso l’era cristiana, nello XI dopo C. incontriamo le belle tavole a colori delle Cantigas de Sancta Maria (testimonianza della dominazione araba nella Penisola Iberica) e in esse ammiriamo una chitarra poco dissimile dall’archetipo ittita. Gli sviluppi successivi muovono lungo due direzioni principali: l’accrescimento del volume sonoro ottenuto con l’ampliamento della cassa armonica; e l’aggiunta di corde nel registro grave. Corde che potevano essere di minugia (budello di animale) o di metallo…
E la chitarra barocca? Nella sua fase intermedia – intendo tra medioevo e modernità – la osserviamo in “carne e ossa” ovvero in legno e corde, nelle mani espertissime di Hopkinson Smith (chi scrive queste note lo ricorda come liutista nelle difficili Suites di Bach e Weiss e vihuelista di pari valore in tanti concerti dagli anni fra il Settanta e il Duemila, nelle stagioni milanesi di “Musica e poesia a San Maurizio”).
Facciamo ora un altro salto per colmare velocemente lo iato che separa lo strumento barocco da quello in uso oggi. Tra ’700 e ’900 il repertorio e il gusto del pubblico si evolvono e la chitarra acquista una patente di nobiltà ben figurando come strumento solista, da camera e d’orchestra, nel repertorio “classico”. Compositori come Luigi Boccherini (1743-1805), Fernando Sor (1778-1839), Niccolò Paganini (1782-1840), Mauro Giuliani (1781-1829), Manuel de Falla (1876-1946) e molti altri scrivono pagine originali. Esecutori e didatti come Andrés Segovia (1893-1987) riscattano lo strumento dal relativo abbandono ottocentesco (domina nelle case il pianoforte) trascrivendo per la chitarra pezzi importanti (Bach ecc.). Favoriscono in questo modo la commissione di pagine originali di nuovi compositori; oltre a de Falla appena ricordato, Castelnuovo Tedesco, Aranjuez, Villa Lobos, Moreno, Torroba, Ponce, Rodrigo, Turina e molti altri.
Come si noterà sono musicisti di formazione e cultura prevalentemente ispanica. E in questa evidenza riconosciamo l’anello che collega, come un filo rosso, la chitarra barocca alla chitarra moderna. La matrice popolare è evidente. Il richiamo al folklore e alla danza, anche.
Un florilegio di danze, di canzoni, di temi popolari è il dono elargito dal concerto di questa sera.
L’antologia tratta da Instrucción de Música sobre la Guitarra Española (Saragossa, 1674) di Gaspar Sanz (XVII sec.) ci presenta composizioni elaborate come Pavane, Partite (cioè variazioni) Sarabande e Follie, accanto a motivi schiettamente popolari di origine diversa, francese, catalana o napoletana (La Esfachata de Nápoles, la Tarantela.)
Seguono nell’ordine una nobile Passacaglia del primo tono e un Canarios, per certi versi simile a una tarantella, di Francisco Guerau, compositore maiorchino (1649 – 1717/1722) attivo a Madrid, dove divenne membro della Cappella re Carlo II di Spagna e dove pubblicò nel 1694 il suo Poema Harmonico.Similmente un manoscritto della fine del Seicento redatto da Antonio de Sancta Cruz ci restituisce il tipico repertorio spagnolo per chitarra: balli e cicli di variazioni su basso ostinato dove la radice popolare appare sempre in grande rilievo, come nel brano Jácaras che ripete quasi ossessivamente un motivo molto semplice, variato appena in qualche strofa, cui basterebbero pochi colpi di tacco e nacchere a rendercelo ancora più familiare.
L’ultima parte del programma ritorna a Gaspar Sanz con cinque brani. Segnalerei, dopo il Capriccio arpeggiato, il brano intitolato Marizàpalos. Marizàpalos è il nome di una ragazza ma anche il tema di una canzone molto in voga nel XVII, utilizzata da molti compositori di chitarra (Guerau, de Murcia ecc.) per variazioni sul tema e come forma di danza.
Il testo della canzone sottintesa dice

Marizápalos era muchacha
enamoradita de Pedro Martín,

por sobrina del cura estimada,
la gala del pueblo, la flor de Madrid

Un po’ di malinconia, stavolta, ma l’ultimo Canarios la porta definitivamente via.

Sandro Boccardi