Šostakovič e Dvořák |
Iniziato e completato nella primavera 1948 (quando era l’opera 77), congelato fino al 1955 (prima esecuzione): pubblicato come opera 99. I sette anni per l’esordio del primo Concerto per violino di Dmitrij Dmitrievič Šostakovič ci ricordano che questo lavoro dalle proporzioni eleganti e dalla comunicativa caratteristica fu giudicato un esempio di “degenerazione” musicale e di “soggettivismo”, secondo i principi ideologico-staliniani che si incarnarono della figura di Andrej Zdanov. In realtà il Concerto per violino è una partitura prudente e quasi accademica. Della grande orchestra che appare in armatura (tutti i legni sono a tre; mancano le trombe e i tromboni, ma c’è la tuba; due arpe e celesta impiegate soltanto per un paio di pennellate impressioniste nel primo tempo, e un po’ di percussione) non si avverte mai l’ingombro, e la distribuzione sinfonica del materiale musicale rimanda a un’intenzione espressiva tradizionale. La successione dei tempi – Notturno, Scherzo, Passacaglia e Burlesque – che può essere letta come dichiarazione neoclassica o come gioco di mascheramento strutturale, rimanda alla consueta architettura delle Sinfonie: nei primi episodi musicali pare di leggere una Sinfonia con violino solista. Se escludiamo il territorio elettrizzante delle cadenze e della Burlesque conclusiva, il Concerto mette in primo piano un progetto compositivo dal quale sono estranei i riferimenti alla tradizione romantica solista-orchestra. La linea solistica vive mimeticamente il rapporto con l’orchestra; anche nei passaggi in cui l’acidula cantabilità si ritaglia uno spazio virtuosistico poco appariscente ma netto come nell’incantato Notturno con cui si apre il lavoro. È un Adagio non dissimile da quelli affascinanti delle Sinfonie, ma in cui Šostakovič lascia evadere un lirismo meno lacerato: la costruzione si basa sull’elaborazione di due spunti tematici ma colpisce l’omogeneità estatica del movimento che gemma rapsodicamente da un sola idea quieta, materializzata nella prima dozzina di misure dagli archi gravi e dal violino solo. Lo Scherzo rivela parentele col materiale tematico della Decima Sinfonia: riconosciamo la citazione del terzo tempo e per l’intero Scherzo circola un’icastica idea musicale basata su quattro note (Re, Mi bemolle, Do e Si: ovvero DSCH secondo l’indicazione alfabetica tedesca) “cavata” dalle prime lettere di D.SCHostakowitsch, nome del compositore translitterato in tedesco. Lo stesso motto sarà nell’VIII Quartetto e in altri lavori degli anni Cinquanta: sarcastica e autoironica reinterpretazione dello staliniano culto della personalità.
L’energia fatta deflagrare nello Scherzo si placa nell’incedere solenne della Passacaglia, che si ravviva a ogni riesposizione tematica, fino a impennarsi nella straordinaria (e lunghissima) cadenza conclusiva del violino che aggancia il tempo della scalpitante e elfica Burlesque. Un Allegro con brio di spericolata brillantezza che aizza le inclinazioni virtuosistiche del solista e porta una sensazione di compiutezza strutturale attraverso la citazione del tema della Passacaglia, trasfigurato dalla vertiginosa accelerazione strumentale.
Angelo Foletto
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