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Siete qui: Home Festival Festival 2010 Šostakovič e Dvořák
Šostakovič e Dvořák PDF Stampa E-mail
Iniziato e completato nella primavera 1948 (quando era l’opera 77), congelato fino al 1955 (prima esecuzione): pubblicato come opera 99. I sette anni per l’esordio del primo Concerto per violino di Dmitrij Dmitrievič Šostakovič ci ricordano che questo lavoro dalle proporzioni eleganti e dalla comunicativa caratteristica fu giudicato un esempio di “degenerazione” musicale e di “soggettivismo”, secondo i principi ideologico-staliniani che si incarnarono della figura di Andrej Zdanov. In realtà il Concerto per violino è una partitura prudente e quasi accademica. Della grande orchestra che appare in armatura (tutti i legni sono a tre; mancano le trombe e i tromboni, ma c’è la tuba; due arpe e celesta impiegate soltanto per un paio di pennellate impressioniste nel primo tempo, e un po’ di percussione) non si avverte mai l’ingombro, e la distribuzione sinfonica del materiale musicale rimanda a un’intenzione espressiva tradizionale. La successione dei tempi – Notturno, Scherzo, Passacaglia e Burlesque – che può essere letta come dichiarazione neoclassica o come gioco di mascheramento strutturale, rimanda alla consueta architettura delle Sinfonie: nei primi episodi musicali pare di leggere una Sinfonia con violino solista. Se escludiamo il territorio elettrizzante delle cadenze e della Burlesque conclusiva, il Concerto mette in primo piano un progetto compositivo dal quale sono estranei i riferimenti alla tradizione romantica solista-orchestra. La linea solistica vive mimeticamente il rapporto con l’orchestra; anche nei passaggi in cui l’acidula cantabilità si ritaglia uno spazio virtuosistico poco appariscente ma netto come nell’incantato Notturno con cui si apre il lavoro. È un Adagio non dissimile da quelli affascinanti delle Sinfonie, ma in cui Šostakovič lascia evadere un lirismo meno lacerato: la costruzione si basa sull’elaborazione di due spunti tematici ma colpisce l’omogeneità estatica del movimento che gemma rapsodicamente da un sola idea quieta, materializzata nella prima dozzina di misure dagli archi gravi e dal violino solo. Lo Scherzo rivela parentele col materiale tematico della Decima Sinfonia: riconosciamo la citazione del terzo tempo e per l’intero Scherzo circola un’icastica idea musicale basata su quattro note (Re, Mi bemolle, Do e Si: ovvero DSCH secondo l’indicazione alfabetica tedesca) “cavata” dalle prime lettere di D.SCHostakowitsch, nome del compositore translitterato in tedesco. Lo stesso motto sarà nell’VIII Quartetto e in altri lavori degli anni Cinquanta: sarcastica e autoironica reinterpretazione dello staliniano culto della personalità.

L’energia fatta deflagrare nello Scherzo si placa nell’incedere solenne della Passacaglia, che si ravviva a ogni riesposizione tematica, fino a impennarsi nella straordinaria (e lunghissima) cadenza conclusiva del violino che aggancia il tempo della scalpitante e elfica Burlesque. Un Allegro con brio di spericolata brillantezza che aizza le inclinazioni virtuosistiche del solista e porta una sensazione di compiutezza strutturale attraverso la citazione del tema della Passacaglia, trasfigurato dalla vertiginosa accelerazione strumentale.
Ingaggiato nel 1892 dalla mecenate Jeanette M. Thurber per dirigere il neonato National Conservatory di New York, una scuola che non rilasciava attestati ma insegnava composizione, soprattutto a musicisti neri, aspirando a creare una tradizione musicale americana, Antonin Dvořák lavorò nella Grande Mela per tre anni. Al soggiorno americano furono legate sette partiture: due dichiararono i debiti con l’ambiente nel quale – e per il quale – nacquero, nel titolo. La prima fu la sua più celebre composizione, la Sinfonia n. 9 (per anni rubricata come Quinta: solo nel 1963 furono conteggiate le quattro Sinfonie giovanili); la seconda fu il Quartetto in fa maggiore op. 96 “Americano”. Sinfonia “Dal Nuovo Mondo”, per esteso “Impressioni e saluti dal Nuovo Mondo”. La scritta aggiunta a mano all’ultimo momento accompagnò l’invio della partitura al responsabile della prima esecuzione: il titolo rispecchia il clima idealistico-nazionalista dell’anomala scuola. La fondatrice aveva esposto al musicista il desiderio/progetto d’una “vera opera americana”, ispirata al celebre The Song of Hiawatha (1855) di Henry Wadsworth Longfellow. Dvořák conosceva il poema in traduzione ceca ma propose una composizione orchestrale: così il II e III movimento si ispirarono al funerale di Minnehaha (sposa di Hiawatha) e alla danza di Pau-Puh-Keewiz. Alle suggestioni letterarie Dvořák aggiunse la conoscenza di spirituals neri, i folksongs di Stephen Collins Foster (1826-1864), documenti entnomusicali originari del Nord America e canti pellerossa ma si occupò dei nazionalismi sonori locali senza remore filologiche: «non ho usato una sola di queste melodie; ho scritto i temi convogliando in essi le qualità della musica indiana e usandoli come soggetti sinfonici».
Caratteristici nella Sinfonia sono il tono estroverso e le parti strumentali guidate dallo squillo degli ottoni o dai raddoppi orchestrali, ma anche i ripetuti ripiegamenti lirici, l’ombreggiatura malinconica delle melodie, la scrittura che isola le personalità timbriche e crea zone di straordinaria trasparenza. Un esempio è il Largo (bissato alla prima) che dopo il corale d’avvio degli ottoni, si consegna alla melopea arcana del corno inglese e ai ricami insinuanti e respirati di oboe e flauto: ispirato al “Funerale nella foresta”, tagliato come una ninna-nanna, evoca segni e spazi emotivi senza latitudini affettive né geografiche. Pur appartenendo ancora alla tradizione romantico-brahmsiana, la Sinfonia ne prende le distanze, affermandosi personalissima e inconfondibile. Completata in poche settimane, la partitura fu orchestrata tra il 9 febbraio e il 24 maggio 1893. Lo stesso giorno, poche ore dopo la conclusione – così è annotato sull’autografo – un telegramma da Southampton avvertì Dvořák che i figli erano in viaggio per raggiungerlo oltreoceano. Furono presenti al trionfo della prima esecuzione della nuova (e ultima) Sinfonia paterna: il 16 dicembre alla Carnegie Hall, sotto la direzione di Anton Seidl, per conto della New York Philharmonic Society.

 

Angelo Foletto