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In nomine Dei PDF Stampa E-mail

Un laborioso artigiano dei suoni. Oltre cento messe ed altrettanti madrigali. Poi inni, offertori, Lamentazioni, Magnificat. E un numero incredibile circa cinquecento di mottetti. La storia della musica abbonda di compositori prolifici. Ce lo ricordano i seicentoventisei numeri d’opera del catalogo mozartiano e gli imponenti lasciti di Bach e di Telemann, autore di quasi duemila cantate.
C’è qualcosa di particolare, però, nella prolificità di Giovanni Pierluigi da Palestrina, quasi tutta al servizio di Dio e della Chiesa. Siamo nel pieno del fervore religioso controriformistico del secondo Cinquecento, un’epoca che in Italia ha segnato una battuta di arresto sul piano politico e sociale, ma che ha contribuito molto allo sviluppo delle arti figurative e della musica soprattutto a Roma.
Mai come allora la musica è stata utilizzata come veicolo di moralizzazione e di edificazione spirituale. Questo vale per le complesse trame polifoniche palestriniane come per la semplice struttura accordale delle laudi spirituali, eseguite in contesti diversi da quelli delle cappelle iperprofessionalizzate di Santa Maria Maggiore, San Giovanni in Laterano e di San Pietro. Al genere diede un contributo fondamentale Giovanni Francesco Anerio (1567-1630), anche se molte laudi e canzoni spirituali erano anonime e avevano larga diffusione attraverso raccolte a stampa come quelle curate da Francisco Soto de Langa. Una struttura simile hanno anche mottetti come Confitemini Domino di Alessandro Costantini, nel quale il testo resta sempre in primo piano. Eppure anche i più complessi intrecci polifonici delle messe e dei mottetti palestriniani sono condotti nel segno di un estremo equilibrio, sia nell’uso delle dissonanze sia nella condotta delle parti. In pagine quali Ego sum panis o Adoramus te si ammirano la fluidità melodica, il sapiente gioco di alternanza tra pieni e vuoti, la continuità ottenuta evitando la fermata contemporanea delle voci sullo stesso accordo. Certo in Adoramus te, che appartiene alla maturità palestriniana, la condotta delle parti si fa più scaltra, in un clima di estrema rarefazione sonora ed espressiva che contempla il recupero della scrittura accordale. Però la mano di Palestrina resta la stessa, a conferma dell’inconfondibile caratterizzazione stilistica della cosiddetta “scuola romana”.
A Roma operò anche il ferrarese Girolamo Frescobaldi, sia pure in un ambito cronologico (la prima metà del Seicento) e compositivo (quello della musica a tastiera) ben diversi da quelli di Palestrina. Del resto la stravaganza delle invenzioni armoniche e virtuosistiche e la complessità della scrittura collocano il grande ferrarese in piena temperie barocca. Lo dimostra la Settima Toccata dal II libro, con il suo carattere decisamente improvvisativo, alla quale si può contrapporre la severa nobiltà delle pagine del liutista tedesco Kapsberger, attivo a Roma dal 1610 fino al 1661, anno della morte: una duplice testimonianza della complessità dell’estetica della musica seicentesca.

Luca Segalla