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Siete qui: Home Festival Festival 2010 Idomeneo, o del sublime mozartiano
Idomeneo, o del sublime mozartiano PDF Stampa E-mail

Monaco di Baviera, 1780, corte del principe elettore del Palatinato Carl Theodor. Un Mozart venticinquenne vi approda ricco di speranze e di molte energie da spendere. Ha appena ottenuto dal principe la commissione per un’opera. A lui il compito di musicare la storia di Idomeneo, su libretto dell’abate Giambattista Varesco, cappellano di corte dell’arcivescovo di Salisburgo: per “Wolfi Amadeo” l’arcigno e molto mal sopportato Hieronymus Colloredo. Ma è anche questa l’occasione irripetibile di sganciarsi dagli obblighi salisburghesi per respirare un po’ di sana aria di libertà. Per ora dall’arcivescovo ottiene persino un lungo permesso! Quale occasione migliore per dimostrare le proprie capacità fuori dal recinto della propria città? Dopo aver gettato “a casa” le basi dell’opera come sua abitudine preferisce andare subito sul luogo della rappresentazione per prender contatto con il cast. L’opera va in scena con successo al Residenztheater, il teatro di corte di Monaco, il 29 gennaio 1781. A parte qualche difficoltà con le voci maschili – Mozart temeva che Dal Prato non arrivasse a finire la propria aria e definì il tenore Anton Raaf «una statua», mentre era soddisfatto delle voci femminili –, il giovanin signore di Salisburgo trova a corte un’orchestra straordinaria! È la prodigiosa «orchestra dei Mannheimer», formata dai migliori musicisti d’Europa, che Carl Theodor s’è portato appresso da Mannheim. Il compositore non si lascia sfuggire l’occasione e scrive una partitura di stupefacente bellezza, con un uso molto innovativo e letteralmente spericolato degli archi, che mettono in luce il proprio scintillante virtuosismo e la stesura di grandi tavolozze orchestrali in cui i fiati risaltano per i colori e la capacità di definire pitture ambientali di mare, mostri e tempeste. Dentro il quadro drammaturgico di un’opera seria è già il miglior Mozart. All’interno delle note dorate scritte dal genio di Salisburgo anche le più belle suggestioni che al tempo l’Europa sapeva proporre: i quadri spettacolari e coreografici ereditati dalla formula francese della tragédie lyrique, suggestioni e fremiti Sturm und Drang suggeriti dai sinfonisti di Mannheim, la presa d’atto delle proposte di rinnovamento dell’opera di Gluck, con i panneggi spettacolari e terrificanti e i suoi affreschi corali e drammatici, il sonor e la tornitura del bel canto italiano. Dentro questo quadro estetico e drammaturgico Mozart ci mette (molto) del suo. Piega la forma, non si lascia vincolare dalla (vecchia) convenzione dell’opera seria, scrive magnifici recitativi accompagnati sciolti in grandi arie, dardeggianti partiture orchestrali, palpitanti pezzi d’assieme e grandi scene corali. Tutto scorre con continuità perché è la musica che detta i tempi, che comanda l’intreccio e la storia, che “rappresenta”. Così, ad esempio, nella palpitante aria di Elettra Tutte nel cor vi sento che trapassa in un tutto unico nel drammatico coro del naufragio Pietà, numi, pietà, si sentono le grida disperate dei naufraghi (la flotta di Idomeneo) divise in due voci: quelle degli uomini più vicini, ormai sulla spiaggia, e quelle dei marinai disperati ancora in alto mare in balia dei flutti: davvero un quadro musicale sconvolgente! In una lettera scritta al padre, che lo segue con apprensione da Salisburgo, ecco la testimonianza diretta di un Mozart letteralmente rapito dalla composizione: «Ho la testa e le mani così piene del III atto che non mi meraviglierei se diventassi un III atto anch’io. Questo atto mi è costato più tormento di un’opera intera, perché è difficile trovare una scena che non sia di estremo interesse». Nella storia, che propone le vicende di Idomeneo, re di Creta, del figlio Idamante, di due donne, Ilia ed Elettra, in lotta per il proprio uomo, di un popolo prigioniero (i troiani), si intrecciano le fragilità ed i drammi umani: con un simbolico rapporto disegnato tra l’uomo ed i propri mostri, le proprie paure, tra l’uomo e Dio. Sullo sfondo il mare e la forza prodigiosa della natura. Ed il principe committente, estasiato, così commentò all’ascolto: «Ne fui enormemente sorpreso! Mai altra musica mi aveva fatto tale impressione. È magnifica! Pare incredibile che in una testa così piccola possa celarsi una cosa tanto grande».


Marino Mora