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Siete qui: Home Festival Festival 2010 Cantare, la vocazione del violoncello
Cantare, la vocazione del violoncello PDF Stampa E-mail
Violoncellista per vocazione, Luigi Boccherini inizia a raccogliere straordinari successi internazionali a 17 anni, dapprima a Vienna (là Gluck apprezza le sue composizioni), in seguito ai Concerts Spirituels di Parigi, infine a Madrid, dove è nominato violoncellista e compositore della Camera dell’Infante Don Luis, incarico che ricopre per quindici anni, dopodiché pur rimanendo nella capitale spagnola diventa suo mecenate il re di Prussia Federico Guglielmo. Il musicista toscano è stato definito il più grande compositore strumentale italiano e il suo stile elegante paragonato a quello di Haydn; la sua musica, di concezione classica, esemplare nella costruzione, è allo stesso tempo espressiva fino ad anticipare lo spirito romantico. Le sue Sonate per violoncello influenzano i compositori della generazione successiva e danno un forte impulso alla moderna tecnica violoncellistica anche se tutto sommato ha scritto un numero limitato di opere per il suo strumento. È improbabile che le Sonate siano nate per il violino, visto il carattere spiccatamente violoncellistico e come mettono in rilievo le qualità di questo strumento alla cui indole sono pienamente adatte e conformi. Il raggiungimento dell’assoluta padronanza dell’arte e l’affermazione sicura della propria personalità avviene con le raccolte di Quintetti, «il più importante fatto dell’arte moderna» in quanto in essi egli pone i pensieri alla base dell’edificio architettonico della forma. Il Secondo Quintetto appartiene alle opere piccole, quelle in due soli tempi (il secondo, d’abitudine un Minuetto), partiture squisite che si distinguono per grazia ed eleganza; un carattere gaio e festoso percorre questo Quintettino, dal semplice Allegro iniziale al brillante Minuetto che lo chiude. Dei Concerti interessa notare che hanno ormai la struttura definitiva, con i primi tempi in forma-sonata costruiti in maniera perfetta, l’esposizione dei temi nell’introduzione orchestrale, la prima idea alla tonica e la seconda alla dominante, la ripresa di entrambe nella tonalità d’impianto prima della coda conclusiva. L’amicizia tra Mario Brunello e Giovanni Sollima risale agli anni di studio con Antonio Janigro. Spasimo vede la luce a Palermo una notte dell’estate 1995, quando il musicista visita su invito e insieme a sindaco, assessore alla Cultura e direttore artistico del Teatro Massimo la chiesa di Santa Maria dello Spasimo, murata da anni e che ora si è scelto di riscattare dal degrado destinandola a sede di spettacoli, concerti e mostre; egli porta con sé il violoncello e decide di comporre sul posto: là nasce praticamente tutto il brano nel quale Sollima ha evitato di fare qualcosa di troppo descrittivo; «evoco un posto leggendario, ma anche un luogo di silenzi che sta per cambiare identità». Così Spasimo è diventato in pratica l’inno della rinascita della città, quella città che per l’autore palermitano è senza dubbio una ricca fonte di ispirazione per un “cacciatore di suoni” come si autodefinisce; là egli trova quel patrimonio musicale siciliano, mediterraneo che combinato con elementi del linguaggio classico, jazz e rock costituisce il suo stile.

Monica Rosolen