Skip to content
Siete qui: Home Festival Festival 2010 Calamità, drammi e turcherie
Calamità, drammi e turcherie PDF Stampa E-mail

Un mondo esasperato dalla natura inquieta e maligna sembra permeare la Sinfonia “Trauer” di Haydn, oltre ad altri capolavori come la n. 49 “La Passione” e i Quartetti dell’op. 17. Pagine a tratti persino eccentriche che scavano alle estremità dei confini, in una sorta di indefinita no man’s land: contrastanti, contrappuntistiche, scompaginate dall’instabilità e dallo squilibrio, dove gli Andanti diventano Adagi e (viceversa) gli Allegri si trasformano in una cavalcata di suoni, sferzanti e minacciosi. Non è un caso che l’Adagio della n. 44 finì per essere suonato nella cerimonia commemorativa a Berlino dopo la sua morte, nel 1809. La scelta fu casuale, non dettata dalla volontà del compositore, come apocrifa è l’indicazione di Trauer (lutto). Fu anche detta “Sinfonia a Canone”, per via del Minuetto intitolato “Canone in diapason”: e qui troviamo l’ingegnosa imitazione a distanza di una battuta fra melodia e basso, in contrasto con la gaia atmosfera del Trio. Ma capolavori di impeto espressivo sono anche i due tempi monotematici esterni, l’Allegro con brio e il Finale: Presto alla breve, carichi di uno slancio vigoroso, oltre al commosso Adagio, diviso fra splendori raggianti in maggiore e accenti luttuosi in minore. Più variopinta, meno sulfurea, la mozartiana Sinfonia concertante K. 364 composta fra l’agosto e settembre del 1779, perfeziona nel dialogo a due o tre strumenti con orchestra (tanto popolare a Parigi) le esperienze apprese in precedenza: in particolare la severità liturgica dello stile antico, la vaporosità del gusto francese e l’innovazione della scuola di Mannheim, il tutto filtrato da un linguaggio che integra il dialogo dei solisti con l’orchestra. Ancora del salisburghese è il Concerto K. 219 (1775), facilmente ricollegabile al mondo pittoresco e fascinoso delle “turcherie”. Qui il colore esotico della musica turca – infiltrato persino nelle traduzioni dei racconti di Le mille e una notte, come nella porcellana in stile rococò (che musicalmente stava contaminando autori come Gluck, Haydn e Grétry) – emerge nel finale: un rondò in tempo di minuetto che si concede palesi bizzarrìe fra temi carichi di ornamentazioni, melodie di ampi gesti e andamenti sincopati. Ma l’umorismo del finale è comunque preceduto da un primo movimento – interrotto a sorpresa da un drammatico Adagio – e una zona centrale lenta e pensosa. Un’ultima annotazione merita il Potpourri di Spohr, trasferito dal clarinetto alla viola e diviso in un Larghetto introduttivo e in un Allegro-Allegretto finale. Musica di gradevole fragranza e generosa ispirazione: elegante nei gesti ed espressiva, che rende giustizia di un autore romantico ancora negletto.

Luigi Di Fronzo