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Siete qui: Home Festival Festival 2009 Una medaglia con due facce, ugualmente preziose
Una medaglia con due facce, ugualmente preziose PDF Stampa E-mail

di Carla Moreni

Nell’anno di Haydn, morto a Vienna, il 31 maggio 1809, diventa molto interessante il confronto con Mozart. Comunemente è il secondo a vedersi assegnata la palma della superiorità e della popolarità: Mozart divenne immediatamente famoso per alcune sue opere per il teatro, per il Requiem, per la biografia segnata da tratti di leggenda. Eppure, quando i due sono affiancati sul terreno orchestrale, come capita in questo programma, è molto difficile assegnare delle priorità assolute: Mozart e Haydn sono molto diversi tra loro, ma anche molto vicini. Mozart considerava Haydn come il Maestro e Haydn scrisse di Mozart come del genio, senza rivali. Nelle differenze di personalità, di stile, di tempo e tempi biografici i due restano comunque esempi di una straordinaria medaglia a due facce, ciascuna preziosa esattamente quanto l’altra.
Le due Sinfonie di Haydn, scritte a distanza di una decina di anni (la n. 45 nel 1772, la n. 80 nel 1783-84) presentano un comune tratto stürmisch, appassionato, pre-romantico. Ma la passionalità di Haydn è sempre sorniona, velata di ironia, e fa leva su effetti a sorpresa. È come se il musicista ci inducesse a commuoverci, restando però lui distaccato. La sentiamo nel passo della Sinfonia in re minore, aperta dal primo tema dell’Allegro spirituoso coi violoncelli solenni e imponenti, ma dove poi lo sviluppo della forma-sonata approda a un clima galante e salottiero. Ricchissima è la tessitura melodica dell’Adagio, tanto che anche il Minuetto ne raccoglie gli ultimi raggi: nel Trio, in particolare, risuona il tema della gregoriana Lamentazione di Geremia. Ed è lo stesso che ritroviamo nel Trio della Sinfonia n. 45, una delle più famose per la teatralità dell’ultimo movimento: nell’Adagio extra, finale, uno ad uno gli strumenti smettono di suonare, fino a ridursi a due violini. Addio: così simbolicamente volevano dire i musicisti dell’Orchestra di Esterhazy guidati da Haydn costretti dal principe nella sua magnifica reggia di campagna, ma isolati da mondo e affetti. Ciascun strumentista man mano soffiava sulla candela del suo leggio, terminando così la Sinfonia nella quasi totale oscurità.
Scritto negli ultimi mesi di vita, nel 1791, il Concerto per clarinetto di Mozart era destinato all’amico Anton Stadler, scritto nell’originale per clarinetto di bassetto. Mai si era sentita fino ad allora una così totale adesione tra un fiato solista e l’orchestra: costruita sui timbri, sui rimandi tematici, sul respiro davvero comune, che trova l’apice nel commosso Adagio, una delle pagine soavissime di Mozart, ma che si effonde con ininterrotta continuità dalla prima all’ultima nota.