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Siete qui: Home Festival Festival 2009 Un secolo di Quartetti
Un secolo di Quartetti PDF Stampa E-mail

di Monica Rosolen

Il genere del Quartetto d’archi dialogo inter pares tra strumenti della stessa famiglia nasce nella seconda metà del Settecento da radici molteplici e internazionali, ma soprattutto prende le mosse dal divertimento dei paesi di lingua tedesca; ad Haydn, semplicisticamente considerato il padre di questa forma, si deve il perfezionamento stilistico, la definizione della forma in senso già moderno, una produzione ampia e l’utilizzo per la prima volta del termine Quartett.
Opera della maturità del musicista austriaco, il Quartetto Op. 77 n. 1 vede la luce a cavallo tra il 1798 e l’inizio del XIX secolo, su commissione del principe Lobkowitz; la primitiva intenzione dell’autore di comporre come d’abitudine una serie di sei partiture decade (l’Op. 77 comprende due numeri) a causa dell’impegno della redazione delle Stagioni. Grande maestria e tratti innovativi caratterizzano quest’opera; in particolare il terzo movimento, Menuetto, è in realtà uno scherzo con uno slancio e una tensione sorprendenti e inediti.
Debussy predilige la contaminazione e ispirazione reciproca delle arti, con ciò egli manifesta il desiderio di spaziare al di fuori della propria disciplina, tuttavia il Quartetto per archi, esempio di musica assoluta, è un autentico capolavoro.
Il musicista francese impiega un’effimera forma a mosaico per suscitare sensazioni che deliziano finché dura l’ascolto. Il fondamento del Quartetto è la ciclicità; l’unità tematica e le trasformazioni che fa l’autore di questo unica tema sono geniali e conferiscono straordinaria morbidezza al discorso melodico. L’accoglienza fredda con rari commenti favorevoli, ma prudenti (solo Paul Dukas ne è entusiasta), riservata alla partitura nel momento della prima esecuzione è dovuta all’originalità del fraseggio, alla rapidità con cui si succedono le modulazioni, tanto numerose da determinare grande irrequietezza tonale, alla difficoltà estrema dell’esecuzione.
Borodin in vari periodi della sua vita è interprete – come valente violoncellista dilettante – e autore di musica da camera. La creazione del famosissimo Quartetto per archi n. 2 in re maggiore è rapida: nel 1881 il compositore probabilmente lo offre alla moglie nel ventesimo anniversario di matrimonio. La delicatezza della scrittura rende la partitura più leggera, di minore densità formale, rispetto al Quartetto n. 1. Il primo movimento propone atmosfere e suggestioni orientali e un clima vicino a Rimskij-Korsakov.
Un tema brillante introduce lo Scherzo che sostituisce il movimento lento abitualmente in seconda posizione; segue un grazioso valzer che si fa da parte al ritorno del primo motivo. La pagina dà spazio ad armonie inconsuete.
L’Andante in terza posizione è un celebre Notturno – spesso eseguito come brano sciolto – esposto dal violoncello che si conferma strumento prediletto del musicista (ha già presentato il primo tema dell’opera). Alcune battute del Notturno riappaiono anche in apertura del Finale in un gioco di risposte tra gli strumenti; sono frammenti intralciati nel loro continuo riemergere da motivi briosi e contrastati infine da una sezione Vivace. In questo tempo, meno spontaneo dei precedenti, svaniscono le suggestioni orientali, emergono al contrario il cimento tecnico e la perizia contrappuntistica di ispirazione beethoveniana di questo compositore sempre considerato un amateur.