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Jan Garbarek PDF Stampa E-mail

garbarekLa storia ha acquisito, ripetendosi, un cast quasi leggendario, quando Jan Garbarek, a 14 anni, ascoltando alla radio John Coltrane, ebbe una sorta di illuminazione. Comprò subito un libro per imparare a suonare il sassofono: Quando ho potuto permettermi il mio primo sassofono ero veramente preparato e molto ansioso di suonarlo”.
Coltrane era stata una scelta fortuita di modello, ma il seguire le sue orme aprì a Garbarek nuovi orizzonti. L’interesse di Coltrane per Ravi Shankar, ad esempio, avvicinò Garbarek alla musica indiana nel 1963, e quindi alla possibilità di musica non occidentale.
Dal Coltrane Quartet, il giovane musicista norvegese imparò la dinamica della band e le relazioni tra gli strumenti.
L’apertura di Coltrane verso gli spiriti più liberi della New Thing focalizzarono l’attenzione di Garbarek su Pharoah Sanders, Archie Shepp e specialmente Albert Ayler. Ma c’erano altre influenze in corso...
La Scandinavia, in quel periodo, era un vero paradiso per i musicisti americani.
Garbarek ebbe molte opportunità di ascoltare Dexter Gordon, Ben Webster e Johnny Griffin e di conseguenza di imparare da loro.
Nel 1964 ha la possibilità di suonare con Don Cherry, il quale univa le tradizioni folk di tutto il mondo in un'unica varietà di Free Jazz.
Molto importante, in questo periodo di formazione, fu il pianista e compositore americano George Russel, che si esibì con il gruppo di Garbarek al Molde Festival del 1965, invitando anche il giovane sassofonista diciottenne a suonare con la propria band: “Mi ha insegnato davvero tante cose. Non sapevo nulla di musica, ma lui continuava ad aver fiducia in me”, Garbarek si immerse nel trattato Lydian Chromatic Concept of Tonal Organization di Russel e suonò uno dietro l’altro i dischi del compositore, alcuni dei quali sono stati pubblicati solo recentemente.
Nel 1969 Manfred Eicher fonda la ECM Records e invita Garbarek a registrare per il nuovo marchio.
Afric Pepperbird
viene registrato a Oslo nel 1970 e proietta il giovane sassofonista nel panorama internazionale assieme ai membri della sua Band; in Norvegia, la critica si riferisce a Jan Garbarek, Terje Rypdal, Arild Andersen e Jon Christensen come a “The Big Four”, i musicisti che hanno definito il significato dell’improvvisazione norvegese.
Nel 1970 Garbarek trascende l‘influenza di Coltrane e trasferisce nella sua musica nuove idee.
Dei primi dischi usciti sotto l’etichetta ECM Garbarek ricorda Triptikon (1972) come punto di svolta. Inoltre, il disco contiene una prima prova di adattamento della musica folk norvegese, adattamento che si dimostrerà fondamentale negli anni successivi.
Nel 1974 inizia la fruttuosa collaborazione con Keith Jarrett.
Belonging and Luminessence
viene registrato in una sola settimana.
L’anno successivo, Jarrett presenta un brano realizzato insieme a Garbarek, Charlie Haden e a un’orchestra di archi. Il pezzo viene presentato per la prima volta al Carnegie Hall di New York.
Contemporaneamente ai progetti di Jarett, il sassofonista ha co-diretto lo Jan Garbarek – Bobo Stenson Quartet, che ha registrato due album: Witchi-Tai-To e Dansere con i quali il gruppo si è affermato come una delle band più popolari d’Europa.
Successivamente, Garbarek si ritira per un breve periodo dai concerti dal vivo per lavorare ad un progetto più intimistico, l’album Dis, che esce nel 1976 come primo volume di una trilogia che comprende anche Eventyr (1980) e Legend Of The Seven Dreams (1988).
Molti di questi brani sono riflessioni sulla Norvegia, le sue luci e i suoi paesaggi, la sua tradizione folk.
Tra gli anni ’70 e ’80 la Manfred Eicher continuava a unire musicisti, provenienti da varie esperienze, in speciali progetti che miravano alla scoperta reciproca, tra gli stessi musicisti, delle proprie capacità.
Nel 1979 escono Magico e Folk Songs, del trio Jan Garbarek, Egberto Gismonti e Charlie Haden.
Oltre al lavoro con EMC Garbarek ha composto diverse colonne sonore di film norvegesi, di programmi radio e TV, nonché di produzioni teatrali.
Nel 1986 registra l’album solista All those born with wings.
Le musiche per film e per teatro includono influenze non solo jazz, ma anche della musica classica e contemporanea.
In un’intervista Garbarek ha parlato della sua passione per compositori come Haydn, Chopin, Mahler, Sibelius, Lutoslawski e Takemitsu; molte di queste influenze possono riscontrarsi nelle sue opere. Twelve Moons, infatti, contiene un adattamento di Grieg.
Il progetto Officium, ideato dal produttore Manfred Eicher pone provocatoriamente le improvvisazioni di Garbarek nel contesto dell’ Officium defunctorum di Cristobal de Morales e di altri brani di musica antica.
“Gran parte del mio lavoro coinvolge artisti che provengono da culture diverse, e considero questa collaborazione con la Hilliard Ensemble come proveniente da una cultura diversa. Se non geograficamente, certamente in relazione al tempo. Nei nostri migliori momenti ho pensato che fossimo riusciti a creare qualcosa di nuovo, qualcosa di mai sentito prima. Qualcosa che prima non c’era è venuto alla luce.”
Officium
si afferma in numerose classifiche come miglior album dell’anno per la musica classica, jazz, “indipendente” e pop, dimostrando di avere al tempo stesso un fascino, inclassificabile e universale, che non mostra, tutt’ora, segni di voler diminuire.
Attualmente, il piano di lavoro di Jan Garbarek si divide tra le esibizioni nelle più importanti chiese del mondo insieme all’Hilliard Ensamble e in un’intensa attività di concerti con il Jan Garbarek Group.
I membri del gruppo Rainer Brüninghaus, Eberhard Weber e Marilyn Mazur suonano con lui anche negli album Visibile World e Rites.
Rites,
il primo doppio album uscito con il nome di Jan Garbarek è una magnum opus di cui il titolo suggerisce i rituali, le iniziazioni, l’arcaico, il magico, ma anche i “riti di passaggio” e, nella scelta del materiale, l’artista riflette sugli episodi che hanno influenzato la sua vita.
Nell’album è presente un tributo a Don Cherry, il musicista che per primo lo ha spinto ad esplorare il potenziale della musica folk.
C’è la musica folkloristica del Nord, ma molte influenze provengono da ogni parte del mondo e l’album stesso comincia con una musica registrata da Garbarek in un villaggio indiano.
In Rites si esibiscono il cantante georgiano Jansug Kakhidze, che suona la sua The Moon over Mtatsminda insieme alla Tbilisi Simphony Orchestra.
In We are the Stars il sassofono di Garbarek accompagna le voci del Coro di Sølvguttene.
Tuttavia egli rivisita anche il suo passato artistico, con nuovi arrangiamenti a It’s Ok to listen to the gray voice e So mild the wind, so meek the water.
Cinque anni dopo Officium Jan Garbarek ritorna, insieme alla Hilliard Orchestra, al monastero di S. Gerold per rinnovare il suo incontro con l’ignoto.
Per Mnemosyne i musicisti cercano di evitare la dizione formulare. Laddove Officium era basato sui principi della musica antica, questa volta viene agevolata l’improvvisazione e la musica abbraccia grandi distanze.
Il repertorio dell’album copre 22 secoli, dall’antica Peana Deifica di Ateneo all’Estonian Lullaby di Veljo Tormis, passando per frammenti folk del Nord e del Sud America e della Spagna e pezzi di Tallis, Dufay, Brumel, Hildegard Von Bingen, un salmo russo e una ballata scozzese del Sedicesimo secolo.
Il potenziale di questa combinazione musicale è, a quanto pare, inesauribile.
Nel 2001 la ECM ha chiesto ad alcuni tra i suoi artisti di comporre un’antologia di brani scelti all’interno della propria discografia, per creare una nuova collana chiamata rarum. A quel tempo la discografia di Garbarek era già così vasta che per lui questo progetto si poteva realizzare solo con un doppio CD. Jan ha dedicato uno dei suoi Selected Recordings a progetti propri, mentre il secondo raccoglie alcune delle sue ispirate collaborazioni con altri artisti, primo tra tutti Keith Jarrett.
Altre collaborazioni importanti erano all’orizzonte. Dieci anni dopo Atmos, il bassista Miroslav Vitous bussa ancora alla sua porta. Insieme al produttore Manfred Eicher, Vitous aveva delineato un progetto per portare a compimento le basi gettate con l’album d’esordio Infinite Search, portando in un contesto contemporaneo gli elementi d’improvvisazione che lo caratterizzavano. In Universal Syncopations, Garbarek viene posto a capo di un cast stellare, che include Chick Corea, Jack DeJohnette, John McLaughlin e lo stesso Vitous. L’album vince diversi premi e viene citato tra i migliori dell’anno. Molti critici concordano nel dire che è un gran piacere sentire Garbarek suonare una musica che potrebbe essere definita senza ambiguità jazz, pur trattandosi di un blues magistralmente interpretato.
Un’altra importante collaborazione è stata quella con la violista armeno-americana Kim Kashkashian, una delle musiciste chiave della New Series di ECM. Per anni Garbarek e la Kashkashian avevano incrociato le proprie strade, suonando, per esempio, con Eleni Karaindrou e Giya Kancheli. Poi un nuovo festival norvegese li unisce nell’omaggio a Tigran Mansurian, il più importante compositore contemporaneo dell’Armenia. Questo porta anche alla collaborazione di Garbarek a Monodia di Mansurian, in cui duetta con la Kashkashian in Lachrymae, un brano espressamente scritto dal compositore armeno per i due grandi musicisti. Mansurian aveva subito capito che le inflessioni “vocali” della viola della Kashkashian trovano una perfetta corrispondenza nel “grido” del sassofono di Garbarek.
Questa idea è centrale anche nel penultimo album di Garbarek, In Praise of Dreams, (uscito nel settembre del 2004), che unisce un trio senza precedenti, ma abbastanza logico nell’odissea musicale del sassofonista. C’è qualcosa di assolutamente “sognante” nel suono di Garbarek, che gioca a rincorrersi con la viola di Kim Kashkashian; nei loro dialoghi gioiosi, puntellati dalle incalzanti percussioni tribali di Manu Katché, che fanno confluire rock, jazz e African beat.
E nel 2009 l’etichetta tedesca ECM, ha pubblicato Dresden primo disco registrato dal vivo, con una band ricca di interessanti sfumature. Al pianoforte c’è infatti Rainer Bruninghaus, al suo fianco sin dal 1988; al contrabbasso Yuri Daniel un musicista brasiliano che risiede da tempo in Portogallo e che ha collaborato a lungo con la cantante Maria Joao; alla batteria il franco magrebino Manu Katche, un artista che può vantare le collaborazioni stilisticamente più varie dai Pink Floyd a Joni Mitchell e persino Pino Daniele; infine, alle percussioni, l’indiano Trilok Gurtu, una aggiunta di pregio in questa tournée per un artista che ha portato nel jazz i ritmi e le sonorità del suo grande Paese.
Insieme, i cinque musicisti ripercorrono una parte del repertorio storico di Garbarek, rileggendolo in versioni sempre nuove ed avvincenti.

www.garbarek.com